Musica, che industria !

Due miliardi di euro l’anno, di cui circa 250 milioni alla discografia, 500 ai concerti dal vivo, 200 al diritto d’autore mentre il restante miliardo appartiene al mondo delle discoteche e del ballo. Tanto vale l’industria della musica in Italia, pari al 2,2% del Pil se si include tutto ciò che rientra nella produzione culturale, come cinema e libri. 

Di questo e molto altro si è parlato nell’edizione 2022 del MIR Tech, la fiera di Rimini giunta alla quinta edizione che, in un cartellone ricco di appuntamenti, ha offerto anche momenti di riflessione e dialogo tra esperti di settore e rappresentanti istituzionali per valorizzare un comparto che negli ultimi due anni ha sofferto moltissimo…

“L’Italia è una vera e propria super potenza culturale” così la definisce Sergio Cerruti, Presidente di Afi, l’associazione fonografici italiani, cui fanno capo i produttori indipendenti di musicai. A testimonianza di quanto la musica sia nel cuore non solo di chi la realizza, produce e supporta, ma anche di chi l’ascolta, l’AFI ha realizzato il report “Gli italiani e la musica: scenario della relazione e della fruizione” secondo cui 45,5 mln italiani ascoltano musica, mentre 19,7 mln l’ascoltano spesso, con una crescita del 6% nell’ascolto medio giornaliero nell’ultimo anno, rispetto al precedente.

Il MIR Tech di Rimini è stata l’occasione per una riflessione approfondita sull’industria della musica, sui punti critici e ripartenza del settore dopo la pandemia. Cosa è emerso?


Al Mir Tech è emersa quella mancanza di interlocuzione specifica e tecnica all’interno delle istituzioni che si occupano del nostro settore. Il comparto della musica e dell’intrattenimento notturno hanno al loro interno tante specificità che sono facili da intercettare per il pubblico, ma per chi deve emettere norme per la regolamentazione o anche aiuti economici, non conoscerne le caratteristiche ha reso inefficienti tutti quegli interventi messi in atto nell’ultimo biennio. Inoltre,si sono create disparità, nel senso che il mondo delle discoteche ancora attende il via libera dal CTS per il 100% della capienza; questo è sintomatico di una mancanza di organizzazione, comprensibile in un periodo storico così difficile, ma che ha comportato una serie di errori ricorrenti.

Lei da tempo sostiene che servono interlocutori competenti nei posti chiave delle istituzioni per dialogare con le varie anime dell’industria musicale, dagli spettacoli dal vivo alle discoteche. Cosa propone per migliorare il rapporto industria-istituzioni?

Ho sempre evitato le lamentele, ma credo che una serie di circostanze createsi sia collegata alla mancanza di una struttura organizzata, che come Afi chiediamo da molti anni. E mi riferisco ad una direzione generale musica, all’interno del Ministero della Cultura, che deve essere in grado di organizzare l’industria dell’intrattenimento, come nel caso dei concerti dal vivo, che coinvolgono una serie di ministeri, i quali devono avere una dirigenza preparata, con cui dialogare. Noi dipendiamo da un ministero nato per la gestione del patrimonio culturale del paese, ma che non ha strutture che possano dialogare con le varie imprese di questo vasto settore, perché non siamo il sito di Pompei, ma un’industria vera a e propria, una dorsale culturale importantissima che poi diventa economica e si merita una direzione generale, magari con una dirigenza finalmente giovane.

Da anni, come presidente di Afi, sta portando avanti una battaglia con i colossi dei social, Meta in particolare, per il riconoscimento dei diritti sui contenuti musicali che la piattaforma utilizza senza sborsare un euro. A che punto è la sua battaglia?

È incredibile che un operatore di quelle dimensioni, venga lasciato libero di operare sul territorio nazionale senza un accordo sui contenuti con i produttori musicali indipendenti; esistono accordi internazionali tra Meta e stakeholder, ma io stesso ho scritto oltre due anni fa a Meta sottolineando questa violazione, perché opera senza autorizzazione e con un comportamento poco leale alle realtà musicali italiane. Mi sono rivolto anche all’Agcom a cui ho chiesto di approfondire la posizione di Meta che agisce in modo unilaterale. Questi signori pagano pochissime tasse ed usano i nostri contenuti senza esborsare nulla. Perché il nostro paese non difende i nostri diritti e permette a queste grandi aziende di danneggiare le imprese italiane?

L’Italia sta superando le restrizioni della pandemia, ma aleggia incertezza sul prossimo autunno. Quali misure è necessario prendere ora per evitare che a pagare siano di nuovi gli imprenditori dei locali notturni e degli spettacoli dal vivo?

Da imprenditore e presidente di AFI spero che non accada mai più, ma credo anche che un bravo imprenditore debba mettere in conto anche l’imponderabile. Per questo bisogna fare tesoro delle esperienze già acquisite e mettere in conto future emergenze, perché dovremo imparare a convivere con le varianti endemiche. Raccomando perciò a tutti gli imprenditori del mio settore di essere preparati a qualsiasi altro problema di carattere sanitario.

 

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