Come si riparte, dal lavoro

Al centro del dibattito, politico e sociale, rimangono i grandi temi affrontati durante la campagna elettorale e che restano punti fermi di una quotidianità scandite dalle novità che riguardano lo scenario bellico, dunque energia, bollette, futuro. In questo scenario, a farla “da padrone” è il grande tema del lavoro: quali prospettive e quali i prossimi passi da affrontare per offrire prospettive non di sopravvivenza, ma di crescita e sviluppo, a imprese e italiani? Il tutto con al centro la “questione giovanile”, che riguarda generazioni di giovani lavoratori in cerca di opportunità. 

Ne abbiamo parlato con Enzo De Fusco, consulente del lavoro e tra i principali esperti italiani in materia..

 

Dottor De Fusco, in prima battuta: quali dovrebbero essere, secondo lei, le prime azioni dell’esecutivo a favore del lavoro?

Oggi il mercato del lavoro è molto in sofferenza e i prossimi mesi non si prospettano meglio. Probabilmente questo è il momento di pensare a degli interventi coraggiosi e a mio avviso sono almeno quattro. Il primo, è un taglio del cuneo fiscale tra gli 8 e 10 punti percentuali per consentire alle imprese di riportare il costo del lavoro agli stessi livelli degli altri paesi europei. Oggi le imprese sono l’unica risorsa per il rilancio e bisogna renderle competitive e aiutarle anche ad uscire dal tunnel in cui si trovano. Il secondo, è una seria riforma delle politiche attive. Ci sono oltre 5 miliardi nel PNRR e bisogna investirle per costruire il processo organizzativo, concertato con le regioni, che prenda il lavoratore disoccupato e lo reinserisca nel mercato del lavoro. Oggi invece lo Stato dimentica i disoccupati e li lascia soli senza pensare alla loro rioccupazione. In questo modo si sprecano risorse della disoccupazione senza risolvere il problema anzi alimentando il lavoro nero. Su questo punto, invece, il Ministro Orlando ha ritenuto di investirle le ingenti risorse del PNRR per nuove assunzioni nei centri per l’impiego e per aprire nuove sedi dei centri per l’impiego. Così non si va da nessuna parte. Il terzo, è la semplificazione del sistema lavoro. Per fare un esempio, oggi esistono 22 diverse tipologie di incentivi per assumere i lavoratori privi di lavoro a vario titolo. Questi incentivi si sovrappongono e si cannibalizzano l’uno con l’altro. E’ sufficiente prevedere 4 semplici tipologie accorpando risorse ed eliminando lacci e lacciuoli per accedervi. Il quarto, modificare e non eliminare il reddito di cittadinanza per le persone che possono lavorare concentrando gli sforzi per inserirle subito nel processo di riqualificazione e occupazione e non abbandonarle a loro stessi.

Quale la sua valutazione del cosiddetto “smart working” e in che termini andrebbe disciplinato in questa fase?

 Lo smart working diffuso è stato utile per la fase pandemica ma non credo che in una condizione di economia normale le imprese riescano a reggere un’organizzazione gestita a distanza. Con lo SW ci sono mercati che stanno soffrendo come le mense aziendali, bar, ristoranti o il vendig. Tutte persone che circolando muovevano i consumi e che ora non ci sono più. Io sono più convinto che lo smart working andrebbe concesso come diritto alle donne per conciliare i tempi di vita e di lavoro e per sostenere la maternità. Sotto quest’ultimo punto di vista lo SW è un aiuto importante per il paese, per la crescita della natalità e per il lavoro delle donne.

Pensa che sarebbe importante valorizzare e affidare un nuovo ruolo alla formazione, anche retribuita?

A volte bisogna guardare al passato per trovare le soluzioni per il futuro. Per fare un esempio, una volta gli apprendisti si formavano nelle botteghe e da lì sono usciti gli attuali artigiani e commercianti che stanno andando in pensione. Oggi gli apprendisti li facciamo formare nelle aule sottraendoli per mesi alla formazione in azienda. Con questa scelta da anni sono crollate le assunzioni in apprendistato e sono sempre meno gli artigiani e i commercianti. I governi passati hanno interpretato il concetto di formazione pensando più ai formatori che alle persone da formare. Per imparare a lavorare bisogna ritornare al passato vivendo le aziende al fianco dei lavoratori più esperti. Cerchiamo tutto insieme la formula contrattuale più tutelante per tutti, ma torniamo a questo antico modo di fare che è stato tanto utile a questo paese.

Poi l’annosa questione del cuneo fiscale: come agire per poterlo finalmente tagliare?

 Come ho detto serve un taglio tra l’8 e il 10%. Al sud il taglio del cuneo già è stato fatto per i prossimi 10 anni. Basta scrivere una norma di due righe per estendere il provvedimento al centro nord e il gioco è fatto. Le aziende inizieranno a crescere e a produrre posti di lavoro.

Da cosa deve passare secondo lei il rafforzamento delle politiche attive?

Oggi manca un processo serio, organizzato e soprattutto controllato della sua attuazione. La logica del privato insegna che una buona procedura organizzativa necessita del controllo di gestione per raggiungere l’obiettivo. Oggi non abbiamo nè la procedura nè il controllo di gestione. Va semplicemente fatto questo. Non è necessario assumere nuove risorse perché verrebbero inserite in un sistema che non funziona da 30 anni. E quindi a cosa serve? 

E la possibilità di favorire il ricambio generazionale: come portarla avanti e in che termini può dare benefici a livello sociale diffuso?

Oggi c’è lo strumento per effettuare il ricambio generazionale e il reskilling. Si chiama contratto di espansione. E’ lo strumento che oggi funziona di più in assoluto. Qualche giorno fa un’azienda importante della grande distribuzione organizzata, Metro Spa, ha sottoscritto un accordo con le organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL per prepensionare fino a 5 anni prima del previsto circa 250 persone, ne assume circa 200 e riqualifica oltre 2000 persone. Tutto questo con 2/3 di soldi privati e 1/3 pubblici. Questo è il successo del contratto di espansione. Lo strumento aiuta le imprese nel ricambio generazionale e aiuta i lavoratori a conservazione il posto di lavoro con una massiccia iniezione di formazione finalizzata ad implementare le loro competenze e a tutelare i posti di lavoro.

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