ll racconto di un uomo austero, figura storica e notabile uomo della politica e delle Istituzioni, inizia richiamando quest’immagine:
Molto tempo fa, un parlamentare leggeva il giornale nei corridoi della sua Camera di appartenenza, il Senato. Aveva con sé dei documenti ed il suo soprabito, piegato sull’avambraccio. Fin qui nulla di strano, giusto?
E invece no, l’anziano uomo delle Istituzioni, qui in veste di narratore, si ferma proprio a sottolineare l’errore di questo Senatore. Stesso parere aveva Amintore Fanfani, che proprio nel momento descritto dalla voce narrante si trovava a passare in quel corridoio. “Non è così che si sta al Senato della Repubblica Italiana” esclamò nei confronti del Senatore, “per gli impermeabili c’è il guardaroba!”, lo ammonì. Ed il Senatore reagì come oggi è difficile immaginare. Si scusò, prima di tutto. Per poi dirigersi verso il guardaroba e lasciare il soprabito, come opportuno per il decoro del Palazzo.
Il navigato uomo di potere che lo racconta, ai tempi, ricopriva un’importante carica istituzionale proprio al Senato e per questo motivo aveva assistito alla scena.
Perchè questo racconto?
Per riflettere sulla “normalità”, o meglio contemporaneità, di nostri “usi e costumi“, che riguardano le Istituzioni e non solo.
In effetti, il fatto che questo signore fosse proprio convinto dell’atteggiamento poco corretto del Senatore “in disordine” fa un po’ sorridere.. Ma anche riflettere.
Che dire.. indubbiamente è un’ode alla “forma”.
Allo stesso tempo, però, è un’ode alle Istituzioni, al rispetto, in una veste parecchio lontana dai giorni nostri. E questo per la trasformazione del concetto e del valore “rispetto”, “ma anche” (direbbe Crozza nei panni di Veltroni) per la trasformazione di chi ci rappresenta. Da convinto “struttural-funzionalista” sono convinto che tutto ciò che è appunto “funzionale” è da ritenere utile e valido. Dunque, in estrema sintesi: meglio la sostanza che la forma, purchè sia efficace e porti a risultati.
Il problema, però, è che la politica più easy e scamiciata (giustamente più “al passo con i tempi”) rispetto a quella raccontata dal narratore vive, oggi, un periodo a dir poco difficile ed instabile. Un periodo del quale è causa ed effetto, diciamo.
E le nostre generazioni, allo stesso modo, possono subire e generare nuovi modelli. Chiaro, ognuno nelle proprie vesti. Esiste, oggi, una classe politica quantomeno generazionalmente rinnovata, svecchiata. Bene, ma non basta.
Ad ognuno, dunque, il suo “soprabito”. Ad ognuno la possibilità, ampia o meno che sia, di assumere atteggiamenti, lanciare proposte, dare “buoni esempi” assumendone paternità e responsabilità.
Quello che la storia del soprabito può e vuole lasciarci passa da un idealismo spinto ad una visione molto pratica: che ognuno tenga il cappotto come e dove preferisce ma, salvando e valorizzando il concetto di “rispetto” (una rispolverata oggi necessaria..), in una parola, facciamo. Creiamo. A volte anche l’idea più semplice o banale può diventare lavoro, può diventare “buona pratica” o smuovere qualche coscienza.
Senza aspettare che arrivi solo qualcosa “dall’alto”. Da dove, per carità, una qualche risposta deve pur venire. Rudimenti di sociologia ci insegnano, infatti, che “il pesce puzza dalla testa”. E allora un po’ di fatti e buoni “comandamenti” dettati dal buon senso aiuterebbero non poco. Qualche idea? Potremmo partire dalle basi..
Non portare lo champagne in Parlamento durante le sedute per discutibili celebrazioni. Non andare con l’auto blu a fare i fatti propri. Non dire “Lei non sa chi sono io” (altrimenti, se tanto ci si tiene a dirlo, che si cancelli per favore dai tribunali “la legge è uguale per tutti”). Non pagare i propri collaboratori in nero per poi fare le battaglie in piazza ed in televisione contro l’economia “sommersa”. Non venire alle mani in una seduta pubblica dove si discutono i destini di una Nazione. Non trovare come soluzione ad ogni problema una manifestazione o un’azione di critica senza proposte. Non delegittimare chi rappresenta lo Stato ed il suo operato, specie quando si deve rappresentare il nostro Paese all’estero, punendo si gli eventuali singoli “colpevoli” di qualsivoglia errore, ma senza minare la credibilità dell’Istituzione o Forza pubblica che sia. Custodire la nostra cultura: quella italiana è una democrazia reale, una società aperta, ma non ne vanno insidiate le basi della sua stessa essenza. Accordare “deroghe” o concessioni a chi non condivide certe regole non significa “integrare” ma “dis – integrare” una società in piccole comunità che si arroccano in altrettante nicchie, stando strettamente all’attualità.
Dunque, che fare? Siamo in mano ai giovani. Menomale. Certo, c’è anche qualcuno con le rughe nell’anima. Ma ce ne sono tanti volenterosi, in gamba, coraggiosi, preparati ed onesti.
Tornando al nostro soprabito, a ognuno dunque la sua scelta “ideologica”. Purchè alla base non solo di questa, ovviamente simbolica, ma di tutte le nostre scelte che abbiano un impatto collettivo, ci sia la consapevolezza che, oggi più che mai, ciascuno è “noi”, ciascuno è societas.
Tornando alla nostra storia.. lavoriamo – bene e sodo – e il soprabito, se ci va, possiamo tenerlo come vogliamo.