Pensare anche anche alla “terza e quarta età”

Parlare di generazioni spesso significa parlare di giovani, ma senza distogliere l’attenzione da quelle che rappresentano la “controparte” del dialogo e del confronto generazionale tanto e costantemente auspicato.

Il recente report 2019  (pubblicato a luglio 2021) dell’Istat si concentra proprio sulla popolazione “grande”, anziana, presentando una fotografia del suo stato di salute e delle inequivocabili sulle criticità correlate, che nell’anno successivo la pandemia ha esasperato, rendendo non più procrastinabili cambiamenti e azioni incisive a livello sociale e sanitario. In quest’ottica si colloca anche la riflessione della comunità professionale, clinica e scientifica, degli psicologi attraverso una lettura dei dati che sappia mettere al centro le persone, la loro sofferenza, i loro bisogni, il loro diritto al benessere e ad una vita dignitosa ad ogni età e a fronte di malattie e gravi limitazioni, come il report mostra. Generazioni da tutelare in quanto tali e il cui benessere tanto impatto ha anche su quelle successive. 

David Lazzari, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, e Giovanna Ferrandes, Vice Presidente Nazionale della Società Italiana Psicogeriatria, ci offrono una lettura dello stato di benessere e salute della popolazione, soprattutto anziana, che “va fatta in ottica multidimensionale, altrimenti il rischio è  negare la problematicità e perdere elementi importanti per costruire percorsi di miglioramento della qualità di vita e della qualità delle cure. La salute è un concetto dinamico e in continuo movimento rispetto al rapporto dell’individuo con l’ambiente. Riguarda la collettività e non solo il singolo…”

Riportiamo il loro ampio interessante contributo, che prosegue: “A questo riguardo nel report lo scenario più emblematico è quello delle famiglie, definite pilastro dell’assistenza, ma sempre più fragili: di quali famiglie stiamo parlando? Come si modificano e si evolvono? Come si declina la “fragilità” familiare (“famiglie fragili per anziani fragili”)?  Quali bisogni psicologici vengono ignorati e negati? Quanto è alto il loro stesso rischio di esclusione ed isolamento? 

Un dato  rilevante dal punto di vista psicologico è quello che  riguarda lo stato di solitudine: il 46,8% degli anziani vivono da soli (il 55,4% delle donne contro il 26,4% degli uomini). E’ doveroso chiedersi cosa questo significhi per la qualità della vita e per l’esacerbazione dei fattori di rischio, dall’isolamento alla mobilità, alla cura della persona alla depressione. E’ ormai riconosciuto infatti, a livello internazionale, l’impatto negativo della solitudine fisica e psicologica – in particolare riferita alla povertà relazionale ed affettiva e alla carenza di supporti e aiuti – sulla salute psicofisica delle persone anziane, in quanto correlata all’aumento della vulnerabilità a livello cognitivo, emotivo, somatico e sociale.

Una riflessione attenta riguarda poi il dato sulla depressione, che il report indica come presente mediamente nell’11,3 % della popolazione anziana maggiore di 65 anni, percentuale che si alza al 15%  per i disturbi ansioso depressivi. Quadro che si complica, anche in termini numerici, se si aggiunge l’alta presenza di sintomi ansioso-depressivi compresenti alle malattie croniche. Quali dimensioni e fattori determinano questo dato preoccupante e significativo? Quali bisogni psicologici sottende? Soprattutto quali percorsi di cure abbiamo bisogno di implementare? Si può continuare ad ignorare quanto ormai acquisito dalle evidenze scientifiche sull’utilità delle terapie psicologiche ed integrate per affrontare i bisogni e i disturbi psichici in tutte le sue forme?

Tra le malattie degenerative che riguardano l’ampio capitolo della salute psicologica degli anziani, il report rimarca la complessità, dal punto di vista clinico e soprattutto assistenziale, della cura delle demenze, ricordando il forte invito dell’OMS ( “Global Action Plan on the public health response to dementia – 2017-2025”) a promuovere azioni per il miglioramento della qualità della vita delle persone con demenza e dei loro caregivers. E qui ricordiamo quanto, anche per la demenza, la pandemia da Covid-19 sia stato -e sia tuttora – uno stress test che ha evidenziato in tutta la sua drammaticità (basti pensare alle morti in isolamento nelle RSA, durante la prima fase pandemica) i nodi critici della cura e dell’assistenza all’anziano fragile e della necessità di riaffermare e rivalutare la specificità della dimensione psicologica, in tutta la sua globalità e nelle diverse sfaccettature teoriche ed operative che comporta. Una per tutto l’ampio capitolo degli operatori sanitari e sociosanitari implicati nei percorsi di cura, operatori spesso a loro volta isolati, non supportati nel loro carico assistenziale e psicologico, coinvolti in relazioni di cura ad alto carico emotivo e vissuti di impotenza e vulnerabilità.

Ancora un dato dell’ISTAT: il 32,3% della popolazione over 65 (tra gli over 85 è il 47,7%) soffre di patologie croniche e multimorbilità.  E’ possibile affrontare la cronicità dell’anziano mettendo al margine l’analisi integrata dei bisogni globali del paziente? Come ridefinire gli obiettivi della cura e dell’accompagnamento e  riformulare lo stesso concetto di cura, andando oltre la mera e per di più frammentata erogazione delle prestazioni ? Di quale  “patto di cura” con il paziente “persona” e i suoi caregiver dobbiamo parlare? (Cfr. il documento del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi del 2019 “Il ruolo dello psicologo nel Piano Nazionale Cronicità”).

Un altro approfondimento dovrebbe riguardare la lettura sistemica dei fattori di salute: la salute del singolo si interseca con la salute dei caregiver, per il carico assistenziale particolarmente oneroso che le malattie comportano , in particolare le demenze e l’Alzheimer.  Emblematico in tal senso il dato sulle donne caregiver nelle coppie di anziani. E inoltre la salute del singolo si interseca con la “salute” delle comunità e delle società.

La psicologia dunque, nel suo essere disciplina e professione polivalente e presente in diversi settori, anche per quello che riguarda la salute ed il benessere dell’anziano, nel suo ruolo proattivo e allargato al contesto, deve poter promuovere risorse adattive e costruire resilienza, denunciando con determinazione la necessità di attivare sistemi di cura e di assistenza appropriati e in quanto tali attenti alla persona e ai suoi bisogni. Il sistema sanitario italiano, ancora troppo spesso centrato sugli ospedali e sulle specializzazioni, per affrontare le problematiche di salute degli anziani e per preservare la loro salute, autonomia e qualità di vita, deve riformularsi attraverso un’ottica di comunità e di prossimità, capace di rispondere alle domande di cura ( il report sottolinea più volte la carenza della risposta del sistema sanitario – peraltro inserendo anche le psicoterapie tra le prestazioni a cui gli anziani devono rinunciare )  in cui le diverse discipline sanitarie e non solo si assumano le responsabilità delle loro specifiche competenze,  ma siano anche messe in grado di farlo e di partecipare ai processi. La presenza degli psicologi e del loro sapere e dei loro strumenti è ancora deficitaria e insufficiente in tutti i contesti che si occupano di anziani, dai servizi agli ospedali, dalle residenze protette ai domicili.

Analogo discorso va fatto per i servizi sociali, laddove è necessario un nuovo welfare maggiormente in grado di leggere i bisogni della persona e di dare risposte integrate. Così come la sanità non può essere solo biologia e cura di corpi i servizi del welfare non possono guardare solo al contesto sociale e a bisogni sociali separati dalla dimensione personale e relazionale degli individui e delle comunità.

Ci aspettiamo che i report che seguiranno per il 2020 e per il 2021 sulla salute degli anziani descrivano il quadro epidemiologico contrassegnato dall’alta morbilità e mortalità della popolazione anziana determinato dalla pandemia (seguendo l’invito di R. Horthon nel suo editoriale su Lancet, settembre 2020, sarebbe più corretto e incisivo parlare di sindemia, che, utilizzando il concetto di sinergia, mette in evidenza la complessità e la multidimensionalità): sarà una fotografia impietosa e   dolorosa che richiamerà in modo non più differibile la responsabilità dell’intera  società civile e professionale nella tutela della popolazione anziana. Una responsabilità che dovrà vedere gli psicologi in prima linea nell’impegno verso strategie tese alla salute psicologica di una fascia di popolazione troppo spesso emarginata e stigmatizzata. “Se in una civiltà c’ è attenzione e posto per l’anziano, quella civiltà andrà avanti, perché sa rispettare la saggezza, la sapienza; ma se gli anziani sono scartati perché creano problemi, questa società porta con sé il virus della morte” (papa Francesco, 2015)”.

3 risposte a “Pensare anche anche alla “terza e quarta età”

  1. L’equazione allungamento della vita e qualità della Vita e’ a perdere. Vivere più a lungo male, non ha proprio senso. E’ solo un prolungamento della sofferenza e dell’emarginazione della “vecchiaia”!!!!…

  2. L’articolo di Giovanna FERRANDES, molto attuale e profondo, ricorda il famoso concetto di Cambiamento catastrofico, coniato da Bion. In realtà a causa della pandemia con i suoi lockdown molti soggetti anziani si sono trovati rapidamente depauperati delle loro sane abitudini , dei loro ruoli e della funzione che tali ruoli avevano negli equilibri familiari. Inoltre l’articolo tocca un tema spinoso, quello della famiglia , ma dobbiamo ricordare che famiglia convivente è ormai ridotta a una persona , cioè il convivente coevo, mentre i figli non conviventi si sono trovati anch’essi a limitazioni , riduzioni di spostamenti e di visite: per cui l’esperienza di questi ultimi lunghi mesi per molti ultra ottantenni è stata veramente catastrofica come ora clinicamente vediamo. GuidoGori

  3. ottima analisi e riflessione sulla condizione degli anziani nella ns società. C’è da augurarsi che studi e ricerche su questo crinale si facciano sempre più mirati, per esempio quanti anziani soli e malati non ricevono alcun aiuto, quante persone con demenza non sono diagnosticate, quanti servizi per le demenze svolgono una effettiva azine proattiva? Ci saebbe un tremendo bisogno di queste conoscenze….

Rispondi a Pietro Sangiorgio p_sangioergio@yahoo.it Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *