Claudio Baglioni, le storie della sua storia

In un momento come l’attuale valorizziamo tutto ciò che rappresenta per noi “vita”, in termini di emozioni, tra ricordi e futuro. La musica non è solo piacere procurato dalle parole e dalle note che le avvolgono ma, ora più che mai, proprio una compagna di vita. Per ciascuno di noi, colonna sonora di storie e momenti. Per tutti noi, insieme, un’eccellenza che ci ha reso grandi nel mondo, grazie agli italiani che hanno saputo far arrivare i loro messaggi, i loro pensieri, in ogni angolo di “casa nostra” e non solo.

Claudio Baglioni è uno di questi, un nome che viene immediatamente in mente nel pensare proprio a questi passaggi descrittivi relativi al valore che la musica ha per noi, come individui e società…

Professionista che non ha bisogno di presentazioni ma, tengo ad aggiungere, uomo dalla particolare, profonda, sensibilità personale. Un tratto che lo porta a creare valore nella musica non solo con le sue parole, ma anche con persone che come lui, e con lui, vivono e “sentono”.

In questo modo ha saputo unire, in una potente onda di passione, generazioni di cui ha ispirato emozioni e sogni, mettendo la firma su momenti indimenticabili di molti percorsi di vita. Con lavoro di ben tre anni, ci regala oggi il suo nuovo album. Il frutto, dunque, di una profonda meditazione.

“In questa storia che è la mia” è l’ultimo disco di inediti di Baglioni, che esce a sette anni di distanza da “Con Voi” (Sony Music, ottobre 2013).

80 minuti di musica (capostoria, 14 brani, 4 interludi pianoforte e voce, e finestoria) che sono il risultato di un’ispirazione e di un processo creativo che affonda le sue radici negli anni ’70. Musica “autentica”, che ritroviamo in questo album, suonato da un importante organico di esecutori e interpreti, solisti e sezioni orchestrali e vocali. Sonorità elettriche e acustiche, una mentalità produttiva “analogica”, nella quale il digitale e gli effetti elettronici, vengono utilizzati esclusivamente per dar vita a suggestioni e spazi virtuali: questi gli ingredienti di un nuovo pezzo di storia della musica, e del suo futuro. Un’attenzione, quella di Baglioni, molto concentrata sulla ricerca dei linguaggi e sulla scrittura. Parole che si fanno musica grazie a un ricercato equilibrio espressivo, con un personalissimo ricorso a rime, cadenze, rimandi, assonanze, allitterazioni: tutto questo si fa sono sonorità, dando vita a un’orchestra di fonemi.  Dando vita a emozioni.

Affascinante il ruolo del “tempo”, cui Baglioni attribuisce una triplice dimensione: passato, rappresentato da oltre cinque decenni di vita e di musica, caratterizzati da categorie, temi, linguaggi e stili profondamente diversi tra loro; presente, animato dalla vitalità di un orizzonte che, sospeso tra il non-più e il non-ancora, si apre a sviluppi imprevisti; futuro, come pagina cui conferire u proprio colori. Tutto questo concentrato nei 14 brani tenute insieme da un preciso valore protagonista: l’ “amore”. Al centro delle storie (delle storie-nella-storia) di questo album-narrazione ci sono protagonisti senza un nome e un cognome. L’ascolto di “In questa storia che è la mia” non deve, infatti, portare e chiederci chi siano i protagonisti di “Uno e Due”, la donna lontana di “Io non sono lì”, la giovane compagna di “Pioggia blu”, l’ossessionante lei di “Lei Lei Lei Lei”, né a chi si rivolga la voce narrante di “Come ti dirò”, per chi si strugga di “Mal d’amore”, continuando a chiedersi “Quello che sarà di noi”. Tutti tasselli di cui si può cogliere la visione d’insieme, corale, solo tendendosi alla distanza necessaria al nostro sguardo per una visione organica, un’immagine fatta di tante immagini e sfumature.

 È Baglioni stesso a definire “In questa storia che è la mia” un album-narrazione, un “concept album”, reale e immaginario allo stesso tempo. Un vissuto che l’artista trasferisce al suo pubblico, con un’immagine molto evocativa legata ai “punti di vista” del suo lavoro, che confluisce nell’ universale valore dell’amore. Claudio Baglioni lo guarda con il “grandangolo”, inquadrandolo come quel sentimento universale che ci abita, ma anche con il “teleobiettivo”: il sguardo ravvicinato lo vede trasformarsi in una serie di volti e gesti, dei quali affidiamo alla memoria quel dettaglio che li ha resi, per noi, unici e indimenticabili.

Parole di un artista che, ancora una volta, offre una dimostrazione molto semplice, ma potente: quando il grande sguardo professionale può avvalersi dell’altrettanto grande, o profonda, sensibilità dell’uomo, esso è destinato a tratteggiare note e produrre emozioni intime, indelebili. Eterne.

 

 

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